Di Battista e la ‘lucida follia’ del suo editoriale sui talebani…
‘Ai talebani di essere ‘riconosciuti’ importa poco o nulla. Sono i vincitori della guerra in Afghanistan. E, piaccia o non piaccia bisogna parlare con loro’, scrive Alessandro Di Battista, in un lungo editoriale pubblicato dal giornale online Tpi.it. Con queste parole avvalora la tesi di Conte. E’ caso di ‘follia lucida’ che attraversa ‘la testa’ degli esponenti pentastellati. Di Battista si pone solo l’obiettivo di motivare il perché del dialogo con i Talebani. Bisogna parlare, dice, ‘se si vuole avere un minimo di influenza su una terra strategica. O se, banalmente, si vuole dar seguito alle dichiarazioni contrite e mettere in piedi corridoi umanitari per migliaia di profughi. Punto’. Di Battista, come Conte, finge di non sapere chi sono i Talebani, cosa stanno facendo, ponendosi solo l’obiettivo di motivare il perché del dialogo con i Talebani.
‘Io, sia chiaro, non provo alcuna simpatia per i talebani’, puntalizza Di Battista: ‘Ma trovo stomachevole scandalizzarsi per come i talebani trattano le donne e fare affari con i sauditi…’. Da leggere questa dichiarazione con la lente d’ingrandimento, separando i segmenti comunicativi: ‘…trovo stomachevole scandalizzarsi per come i talebani trattano le donne… ponendo poi una pietra ‘fare affari con i sauditi…’ dal suo punto di vista, utile per bilanciare e restaurare l’equilibrio’. Di Battista pratica una violenza di pensiero verso il lettore mostrando argomenti che non sono niente altro che ‘pensieri truccati’.
Spiego in questo passaggio a Di Battista, e ai lettori, cosa sono i talebani oggi, per niente diversi dai talebani di ieri:
Parliamo della testimonianza di due donne afghane raccolta in un video diffuso su Twitter dall’attivista iraniana Masih Alinejad, che accusa: i talebani ‘sono gli stessi di 20 anni fa’.
Le due donne raccontano di aver tentato di andare al lavoro, seguendo gli annunci dei talebani che invitano i lavoratori a tornare negli uffici. Purtroppo – dicono – ci hanno bloccato e non ci hanno fatto entrare in ufficio e lavorare.
Le guardie talebane al palazzo presidenziale di Kabul hanno detto loro che fino a nuovo ordine non possono entrare. ‘Non ci parlavano direttamente e guardavano un uomo che passava lì accanto e gli hanno chiesto di parlare con noi’.
Le due donne spiegano di essere andate al palazzo presidenziale per capire se ci sia una differenza tra quello che dicono i talebani e quello che fanno. È come 20 anni fa – afferma Alinejad – non c’è nessuna differenza tra il loro modo di governare di allora e quello di oggi.
Non soltanto non fanno entrare le donne – affermano – ma non parlano con le donne; dicono che noi non possiamo nè guardarli nè parlare con loro.
Le due donne lanciano poi un appello: “La nostra voce deve essere ascoltata da tutti“, perché i talebani potrebbero essere gli stessi di 20 anni fa, ma gli afghani no.
Nelle università pubbliche e private della provincia di Herat, nell’Afghanistan occidentale, non sarà più permesso alle ragazze frequentare classi miste. Lo hanno ordinato i Talebani nella loro ‘prima fatwa’, riporta l’agenzia di stampa ‘Khaama’.
Tutto deriva da un incontro di tre ore tra docenti universitari, titolari di istituzioni private e funzionari Talebani. Questi ultimi hanno sostenuto che non c’è giustificazione per continuare con le classi miste. E ne hanno ordinato lo stop. I docenti della provincia hanno ribattuto che le università e gli istituti governativi sono in grado di gestire classi separate. Invece, a causa del basso numero di studentesse, gli istituti privati non possono permettersi di creare aule solo per ragazze. Inoltre, migliaia di ragazze potrebbero essere private dell’istruzione superiore.
Il mullah Farid, capo dell’istruzione superiore dell’Emirato islamico afghano, ha sostenuto che la co-educazione deve cessare subito. Questo sistema è ‘la radice di tutti i mali nella società’. Farid, prosegue l’agenzia, in alternativa ha suggerito che docenti di sesso femminile e uomini anziani ‘virtuosi’ possano insegnare alle studentesse.
Vittorio Sgarbi, sempre più irato contro Conte e contro le sue dichiarazioni sui talebani, come abbiamo detto, già condivise da Alessandro Di Battista. ‘Accolgo l’idea del dialogo ‘distensivo’ con i talebani suggerito da Giuseppe Conte. E in nome dei valori cristiani, da domani, a partire dalle 18.00, su disposizione del sindaco, cioè mia, le donne di Sutri dovranno circolare con il velo secondo il costume della tradizione cristiana’, è la forte provocazione di Sgarbi che, come sindaco di Sutri vuole così richiamare, informa una nota pubblicata su Facebook, l’attenzione dei media sulla restaurazione del regime talebano che colpisce non solo usi e costumi, ma le più elementari libertà delle persone, soprattutto delle donne afghane.
Non sarebbe infatti lecito – spiega Sgarbi – dimostrare minor fede nel nostro Dio che in Allah. I mariti delle donne di Sutri sono pregati di fare osservare queste misure. Il sindaco ha informato il Presidente Draghi e il ministro Speranza, che avevano già provveduto attraverso le mascherine a diffondere l’uso del burka. Il velo ne è una naturale conseguenza. Sgarbi, che si proclama ‘mullah Vittorio’, avverte anche l’opposizione: ‘Potrei applicare la legge della Sharia’. E poi sui commenti scrive: ‘Da domani Sutri sarà Sgarbistan!’. Tantissimi i commenti sui social al post.
Sgarbi, come sindaco di Sutri vuole richiamare l’attenzione dei media sulla restaurazione del regime talebano che colpisce non solo usi e costumi, ma le più elementari libertà delle donne afghane.
Altra significativa iniziativa, a favore delle donne afgane, si svolge stasera a Napoli con #iononmicoprogliocchi, creata dalle avvocate Argia Di Donato e Valeria Montagna.
Viene invitata la cittadinanza partenopea a riunirsi in Piazza del Plebiscito, stasera, a partire dalle h. 19:00, per una manifestazione di sensibilizzazione legata alle dolorose vicende che affliggono il popolo afghano in seguito alla presa del paese da parte dei Talebani.
L’invito è rivolto in particolare alle donne: ‘Abbiamo invitato tutte le donne ad indossare il velo che, realizzato con un pareo, una sciarpa, un foulard, vuole riprodurre un burqa’.
L’idea portante dell’iniziativa è legata al desiderio che si estenda a tappeto su tutto il territorio italiano. Questo evento è al tempo stesso superficie e simbolo, che emana a sua volta simboli e allegorie. Stanziare in piazza con il capo coperto da un velo, che ricorda il burqa, ha un valore fortemente legato, come ricorda la Di Donato in un video, al silenzio interiore. Aldilà del valore spirituale ed iniziatico legato al silenzio quello da praticare è lo stesso silenzio delle donne afghane, simbolo della loro infelice condizione e che attraverso una provocazione solidale richiede per le donne afgane una condizione di libertà.
Le donne non possono parlare, non possono neanche dialogare con gli uomini che, da parte loro, non possono rispondere. Una dinamica sotterranea e silente che attraverso il silenzio dovrà rispondere. E dovrà farlo attraverso le ‘urla del silenzio’. ‘Sono le parole silenziose quelle che portano la tempesta’, annotava Nietzsche.
L’onda silenziosa di protesta, come detto, partirà da Napoli e se colta da chi osserva nella propria interezza si diffonderà a tappeto per diffondersi principalmente in Italia e successivamente in altri paesi. Questo dipenderà principalmente dagli organi di informazione e dai sistemi di diffusione usati.
Roberto Cristiano