Speranza: ‘Terza dose vaccino già a settembre’. Quale vaccino produce più anticorpi?
Il ministro della Salute Roberto Speranza, durante la conferenza stampa conclusiva del G20 Salute a Roma, ribadisce che ‘ se abbiamo passato il mese di agosto con restrizioni limitate, se abbiamo avuto una vita molto diversa rispetto a quella che abbiamo conosciuto in passato, quando le restrizioni erano molto più forti, questo è avvenuto grazie e soprattutto ai vaccini. I vaccini sono la vera arma contro il virus’.
E a questo punto ciò di cui si parla da settimane non è più una supposizione, ma ormai una certezza. La terza dose di vaccino anti-Covid in Italia ci sarà. E non a novembre, e neanche a ottobre, come ventilato inizialmente: arriverà prima di quanto previsto.
Speranza ha annunciato che l’Italia è pronta a partire con la terza dose. Già adesso, a settembre. Si partirà “sicuramente” già nel mese di settembre per le persone che hanno fragilità di natura immunitaria, come alcune categorie di pazienti oncologici, i trapiantati e coloro che hanno avuto una risposta immunitaria fragile rispetto alla somministrazione delle prime due dosi, ha detto il ministro.
L’EMA, pur dopo aver detto appena qualche giorno fa che la terza dose ‘non è urgente’, ha avviato l’iter per l’approvazione.
L’Agenzia europea del farmaco ha iniziato a valutare la domanda per l’uso di una dose di richiamo di Pfizer da somministrare 6 mesi dopo la seconda dose a persone di età pari o superiore a 16 anni.
Come riportano i dati dei CDC americani, le persone con un sistema immunitario da moderato a gravemente compromesso sono particolarmente vulnerabili al Covid e potrebbero non costruirsi lo stesso livello di immunità alle serie di vaccini a 2 dosi rispetto alle persone che non sono immunocompromesse.
Questa dose aggiuntiva mira quindi a migliorare la risposta delle persone immunocompromesse. Sebbene i CDC non raccomandino dosi aggiuntive per nessun’altra popolazione in questo momento, gli Usa hanno annunciato un piano per iniziare a offrire dosi di richiamo del vaccino Covid questo autunno.
Il CDC raccomanda che le persone con un sistema immunitario da moderato a gravemente compromesso ricevano una dose aggiuntiva di vaccino mRNA, Pfizer o Moderna, almeno 28 giorni dopo una seconda dose. Si tratta in particolare di queste categorie di persone:
- che stanno ricevendo un trattamento antitumorale per tumori o tumori del sangue
- hanno ricevuto un trapianto di organi e stanno assumendo medicinali che indeboliscono il sistema immunitario
- hanno ricevuto un trapianto di cellule staminali negli ultimi 2 anni o stanno assumendo medicinali che compromettono il sistema immunitario
- che soffrono di immunodeficienza primaria moderata o grave (come la sindrome di DiGeorge, la sindrome di Wiskott-Aldrich)
- che hanno una infezione da HIV avanzata o non trattata
- che sono in trattamento attivo con corticosteroidi ad alte dosi o altri farmaci che possono sopprimere la risposta immunitaria.
Per quanto riguarda il nostro Paese la posizione del ministro Speranza è sempre stata chiara: “Il mio messaggio continua ad essere molto netto alle persone che non hanno ancora avuto il vaccino, a chi lo ha avuto e sarà chiamato a fare una terza dose: il vaccino è la chiave per aprire la porta di una stagione veramente diversa. Quindi bisogna continuare a vaccinarsi, vaccinarsi, vaccinarsi”.
Mentre si attende l’ok di Aifa e Cts, sono queste infatti le prime categorie che hanno ricevuto il vaccino e con tutta probabilità quelle da cui si partirà.
Intanto l’EMA spiega che le dosi di richiamo vengono somministrate alle persone vaccinate, cioè che hanno completato la vaccinazione primaria, per ripristinare la protezione dopo che è diminuita. Questo relativamente a un eventuale booster generalizzato, mentre diversa è la situazione delle persone con un sistema immunitario gravemente indebolito e che non raggiungono un livello adeguato di protezione dalla loro vaccinazione primaria standard, e che dunque “potrebbero aver bisogno di una dose aggiuntiva come parte della vaccinazione primaria.
Il Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp) dell’Ema effettuerà una valutazione accelerata dei dati presentati da Pfizer, compresi i risultati di uno studio clinico in corso, in cui circa 300 adulti con sistema immunitario sano hanno ricevuto una dose di richiamo circa 6 mesi dopo la seconda dose. L’esito è atteso entro le prossime settimane.
Intanto dall’Inmi Spallanzani di Roma arrivano i primi risultati di uno studio relativo agli anticorpi monoclonali da integrare alla terza dose di vaccino proprio a pazienti immunodepressi e fragili.
In questi mesi gli scienziati dello Spallanzani hanno condotto le ricerche sulla risposta vaccinale in diverse popolazioni fragili, in persone immunodepresse per patologie gravi o in cura con terapie immunodepressive.
Un programma di accesso ai monoclonali “che non vuole essere alternativo”, ma integrativo, spiega il direttore Francesco Vaia. Ora questo programma è stato sottoposto alle autorità regolatorie e Aifa e il comitato etico dovranno decidere in settimane se approvare il programma. Se arriverà l’ok, da lunedì si cominceranno a somministrare gli anticorpi monoclonali.
I primi risultati di monitoraggio della campagna vaccinale confermavano un’efficacia dei vaccini anti Covid pari a circa il 90%. Nella quasi totalità dei casi, quindi, chi aveva ricevuto un vaccino con RNA messaggero aveva sviluppato anticorpi in grado di proteggerlo del virus, o comunque dalle infezioni più gravi.
A meno di un anno dall’inizio della campagna vaccinale, però, le cose sono cambiate.
Nuovi studi hanno fatto luce su una possibile diminuzione dell’efficacia dei vaccini Pfizer dopo i sei mesi, a partire da un confronto dei risultati con quelli dei pazienti che invece hanno ricevuto Moderna. A distanza di tempo – dati e ricerche alla mano – pare che oggi sia possibile confermare un’effettiva diminuzione dei livelli di anticorpi con il vaccino di Pfizer, in particolare nelle persone più anziane e più fragili. Al contrario di Moderna che – col tempo – sembra generare più anticorpi.
Che l’efficacia del vaccino non dipenda solo dal livello degli anticorpi è stato oggetto di discussione. Secondo diversi scienziati, infatti, nella lotta contro il Covid un ruolo importante gioca la cosiddetta ‘memoria immunitaria’, in grado di riconoscere il virus e di combatterlo. Misurare l’importanza degli anticorpi in questo caso, tuttavia, rappresenta un passaggio fondamentale: i ricercatori stanno ancora lavorando per capire da cosa dipende l’efficacia e la protezione di un vaccino e come questa differisca da una persona all’altra. Ottenere risposte a queste domande è cruciale, poiché serve a individuare chi potrebbe aver bisogno del richiamo e quando somministrare una possibile terza dose.
Per questo motivo molti studi si sono concentrati sull’analisi degli anticorpi prodotti e su come questi siano in grado di bloccare l’agente patogeno invasore, etichettando lo stesso e permettendo l’attacco da parte del sistema immunitario.
Un recente studio statunitense, per esempio, ha esaminato un gruppo di pazienti (ospiti e personale di case di cura) che hanno ricevuto due dosi del vaccino Pfizer. Ciò che è emerso è che i livelli di anticorpi in entrambi i gruppi sono diminuiti nel tempo.
Nello specifico, delle persone osservate, quelle con un’età media di 76 anni (120 pazienti residenti nella struttura) hanno registrato un livello di anticorpi molto più basso rispetto al personale più giovane. Nel corso dei mesi il numero di anticorpi è ancora diminuito (sempre più drasticamente) tra i più anziani, mentre due settimane dopo la seconda dose gli anticorpi neutralizzanti erano scesi al di sotto del livello di rilevamento in circa il 16% dei residenti nelle case di cura che non avevano avuto il Covid prima delle vaccinazioni. Sei mesi dopo la vaccinazione, il 70% di questi aveva livelli estremamente bassi.
Che l’efficacia del vaccino possa dipendere dall’età e dalla condizione fisica e salutare delle persone, inoltre, lo potrebbe confermare il dato dello studio USA che riporta una diminuzione del livello di anticorpi solo nel 16% degli assistenti sanitari più giovani coinvolti (64 in totale), sei mesi dopo l’inoculazione.
Quello che i ricercatori hanno dimostrato è che le persone che hanno ricevuto il vaccino Moderna hanno prodotto, in media, il doppio dei livelli di anticorpi rispetto a chi ha ricevuto il vaccino Pfizer. Lo studio belga, pubblicato sul Journal of American Medical Association, ha inoltre scoperto che Moderna produce livelli di anticorpi più elevati in tutte le fasce d’età.
Confrontando i dati di 167 membri del personale sanitario impiegato presso l’Università della Virginia, immunizzato con il vaccino Moderna o Pfizer, è emerso che i livelli di anticorpi dopo il secondo vaccino erano circa il 50% più alti nelle persone che avevano ricevuto il vaccino Moderna.
Va detto, comunque, che nessun scienziato fino ad ora è riuscito a capire se un minor numero di anticorpi si traduce – concretamente – in una minore protezione nel tempo.
Al di là del livello degli anticorpi, la protezione contro le forme gravi di Covid e l’ospedalizzazione – che è l’obiettivo della campagna vaccinale su larga scala – rimane in ogni caso generalmente forte. È un dato di fatto che, ad oggi, gli ospedali continuano a riempirsi di persone non vaccinate, gli stessi che continuano a costituire il maggior numero di nuovi casi gravi.
Arianna Manzi