Scuola, tra didattica a distanza e lockdown
‘La didattica a distanza e il lockdown hanno portato molti ragazzi a essere meno interessati alla prosecuzione degli studi, preferendo direttamente il passaggio al mondo del lavoro’, aveva raccontato a Linkiesta qualche settimana fa David Rodriguez Calvo, responsabile dei progetti di apprendistato del Gruppo Adecco. «Davanti a un mercato in cui se hai, per esempio, un diploma di meccanica o informatica trovi immediatamente lavoro, molti non sono incentivati a continuare a studiare», aveva spiegato. E ora i numeri delle immatricolazioni in calo in Italia lo confermano.
Secondo la stima del ministero dell’Università, nel 2022 si contano 10mila matricole in meno rispetto all’anno precedente. I dati non sono ancora definitivi – quelli ufficiali saranno disponibili a inizio estate – ma si comincia a intravedere un fenomeno preoccupante. E se il confronto si fa con il 2020, i nuovi iscritti agli atenei sarebbero quasi 24mila in meno. Certo c’è il fattore demografico di un Paese che invecchia, ma è un segnale allarmante per l’Italia, che ha solo il 20,1% di laureati contro il 32,8% della media europea.
Il fenomeno, però, non è solo italiano. Anche negli Stati Uniti, rispetto al periodo pre-pandemia, gli ultimi dati registrano oltre 1 milione in meno di nuovi iscritti nei college. Il mix tra l’impossibilità di vivere appieno la vita universitaria a causa del virus e il dinamismo di un mercato in cui, per via della carenza di manodopera, è facile trovare un lavoro ha portato molti ragazzi a terminare gli studi dopo le superiori. Molti speravano che gli aspiranti laureandi che avevano scelto di prendersi un anno di pausa nel 2020 sarebbero tornati nel 2021. Ma dei diplomati delle scuole americane del 2020 che hanno scelto di non iscriversi al college, solo il 2% si è iscritto l’anno dopo.
L’ipotesi più probabile, spiega Doug Shapiro, a capo del National Student Clearinghouse, «è che siano lì fuori a lavorare». La disoccupazione negli Stati Uniti è in calo. Il mercato del lavoro è in ripresa. Gli annunci di lavoro sono esplosi con la Great Resignation e i salari stanno aumentando anche per i lavoratori poco qualificati. «Quindi, se hai un diploma di scuola superiore, questo sembra un buon momento per essere là fuori a fare soldi», dice Shapiro.
Certo, «è molto allettante per i diplomati, ma il timore è che stiano scambiando un guadagno a breve termine con una perdita a lungo termine», spiega l’esperto. «Potrebbe essere l’avvio di un’intera generazione di studenti che ripensa al valore dell’università». Con tutte le conseguenze che questo comporta.
Le ricerche, negli Stati Uniti come in Europa, hanno dimostrato che ottenere una laurea porta a salari più alti, disoccupazione più bassa e maggiori guadagni nell’arco della vita. E se già, come accade in Italia (ma anche negli Stati Uniti), esiste un divario nel mercato con posti di lavoro vuoti perché le aziende non riescono a trovare lavoratori con le competenze adeguate, questo divario con il numero dei laureati in calo è destinato ad aumentare. Con un effetto a cascata sulla crescita economica post Covid.
In ora di pandemia è opportuno esaminare com’è oggi il clima a scuola, travolto com’è nel ginepraio di regole, dubbi, paure e mancanze. Con le classi al gelo e le mascherine a carico delle famiglie, la prima settimana di ritorno in aula dopo le vacanze è all’insegna del caos. Un rientro complesso, su cui pesa l’assenza di centinaia di ragazzi e bambini in quarantena o positivi. Così come mancano all’appello decine di insegnanti e amministrativi fuori gioco per le stesse ragioni. Un rientro zavorrato dalla dad a cui classi, o interi istituti, sono comunque dovuti ricorrere: «121 solo a Torino in cinque giorni», certifica in queste ore La Repubblica. «E 61 le sezioni della scuola dell’infanzia che hanno ridotto l’orario per carenza di personale». Ma per il ministro Bianchi va tutto bene: «La scuola ha riaperto. E non c’è stato alcun disastro».
La problematica reale è che la didattica a distanza e il lockdown hanno portato molti ragazzi a essere meno interessati alla prosecuzione degli studi, preferendo direttamente il passaggio al mondo del lavoro’. Il vero disastro è questo non quello che sottolineava il ministro Bianchi.