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‘ll miracolo dell’ippoterapia’ di Luigi Bisignani: Perché educare un cavallo significa educare se stessi

Gli equini sono animali unici, dolci e indipendenti, adatti per molte terapie Soprattutto, capaci di instaurare rapporti profondi che trasformano la vita. Questi esseri viventi hanno liberato l’uomo dalla stanzialità e per millenni trasporto e progresso sono dipesi da loro.

Per gentile concessione dell’editore Areda, pubblichiamo la prefazione di Vittorio Feltri al libro ‘ll miracolo dell’ippoterapia’ di Luigi Bisignani, già pubblicato sul quotidiano Libero Quotidiano.

Il cavallo è unico. Condividere del tempo con lui, sia per svago che per esigenze terapeutiche, è appagante. Tuttavia molta gente ne ha paura, non avendone dimestichezza. Quando da inesperti ci si avvicina ad uno di questi soggetti conviene essere prudenti e at­ tenersi a talune regole. Tanto per cominciare, è buona norma accarezzarlo sul dorso per fargli capire che non si nutrono intenzioni cattive. Se desideri porgergli una mela o una carota, devi aprire completamente la mano onde evitare che, nell’intento di afferrare il “premio”, addenti anche le dita. Cosa essenziale è che il cavallo riconosce gli amici dai nemici. Quindi non bisogna inimicarselo. E anche se in natura è un predato che ha bisogno del branco per difendersi, nondimeno quando vive solitario nel box  mantiene la medesima attitudine alla fuga appena percepisce una minaccia vera o presunta. Pertanto, mai spaventarlo, bensì è indispensabile rasserenarlo.

Una volta stabilito un buon rapporto con I’equino, gli sipuò salire ingroppa, con dolcezza, dandogli la sensazione che non ti interessa dominarlo ma riceverne la collaborazione. Urge un maestro cheti insegni i rudimenti: battere la sella, stabilire un contatto con la bocca attraverso un uso garbato delle redini, cambiare galoppo – da destra a sinistra eviceversa -. Operazioni più facili da eseguire che da descrivere. Questo il primo approccio.

Una volta ottenuto un minimo di confidenza con il quadrupede, tutto diventa più semplice benché sia indi­ spensabile molta attenzione. Qualora siinnervosisca è utile quietarlo con gesti non bruschi e sta ai tuoi ordini come un agnellino. I cavalli, se dimostri loro rispetto te lo rendono in modo esponenziale pur mantenendo la loro tipicità e carattere, per questa loro “dolcezza indipendente” sono gli animali ideali nella pratica dell’ippoterapia. Infatti il rapporto è paritario tra paziente e quadrupede, non c’è sottomissione alcuna, né dall’una né dall’altra parte ma una relazione infinita di scambi e comprensione delle esigenze. Una sera ero a cena con un generale dei carabinieri esperto di equitazione, il quale dichiarò che gli equini sostanzialmente sono stupidi. Gli risposi sorridendo che forse sonotali nel comportamento, però sempre meno stupidi di chi limonta pensando siano mac­ chine eli utilizza quali mezzi meccanici. Invece sono esseri viventi, legati all’uomo chehanno liberato dalla stanzialità delle caverne consentendogli di conquistare il mondo.

Segnalo in proposito un fatto: sino al termine dell’Ottocento gli unici veicoli a disposizione dell’umanità erano a trazione animale, inclusi i tram. Ciò consente di affermare che il progresso nostro  è dipeso per  millenni  da vari destrieri. Solo gli ignoranti e i buzzurri non lo sanno. Lanostra storia è parallela a quella del cavallo. Ecco il motivo per cui non mi limito ad amarlo: lo ringrazio e gli rendo onore. Da bambino, ho visto tanti carrettieri che facevano schioccare la frusta, producendo un rumore secco e sinistro. lone soffrivo e ho imparato a bestemmiare: colpa loro.

Da ragazzo, andavo ospite di uno zio, Ernesto, che amministrava un feudo in Molise, zona Guardialfiera, lungo il Biferno, il quale aveva due cavalli. All’epoca al Sud non esistevano automobili. E lui andava in giro a sella o col biroccio. Mi portava sempre con sé e mi trasmise pure I’arte della monta. La sera allorché  si trattava di abbeverare gli animali, provvedevo io alla bisogna, e fu in quelle circostanze che maturai nei loro confronti un sentimento forte. Da grande, non appena ebbi due soldi, comprai un puledro che trattavo quale figlio. E decisi di domarlo ai fini di governarlo tra le gambe, comandandolo come fosse un veterano. Non sapevo bene con quale tecnica avrei ottenuto il mio scopo. Lo legai alla longhina e lo feci trottare un paio d’ore al dì in circolo. Senza mai ricorrere alla frusta, ovviamente. Gli inflissi il fasciane, una sorta di sottopancia, onde abituarlo ad avere intorno al corpo qualcosa di estraneo. Non si allarmò mai, non si ribellò. Si adattava alla mia volontà come un cucciolo volonteroso.

Trascorsi alcuni giorni di esercizi, lo vestii all’inglese di tutto punto egli saltai con riguardo in groppa. Non fece una piega. Mi aveva accettato. Uscimmo in campagna, percorremmo viottoli, saltammo due o tre fossi. E da allora non ci siamo più separati. Tra noi è stato un amore e scriverne, ora che lui è morto, mi dilania il cuore. Gente, andate a cavallo, la vostra esistenza sarà più interessante.