Zelensky alla Camera alle ore 11
Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky parlerà oggi martedì 22 marzo a Montecitorio, alle ore 11. Il suo discorso sarà trasmesso su Rai1 e introdotto dai presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico ed Elisabetta Casellati, che avranno 2 minuti a testa.
Previsto anche l’intervento del presidente del Consiglio Mario Draghi. A Montecitorio sia senatori che deputati, in maniera simile a quanto succede, tra le altre occasioni, con l’elezione del presidente della Repubblica. Ma non tutti quelli che sono stati invitati hanno confermato la propria partecipazione. Alcuni inoltre hanno detto apertamente che non ci saranno.
Ecco chi ha deciso di non ascoltare le parole di Zelensky. “Inopportuno”. È stato questo l’aggettivo utilizzato da Enrica Segneri del Movimento Cinque Stelle per descrivere l’intervento del presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky a Montecitorio. Parole evidentemente condivise anche dal senatore della Lega Simone Pillon, che ha fatto sapere al presidente della Camera Roberto Fico che non ci sarà.
La fronda si è allargata a Veronica Giannone, ex M5s adesso in Forza Italia, che ci ha tenuto a sottolineare di non condividere le opinioni di chi ha detto “allora venga anche Putin” (il riferimento è al pentastellato Nicola Grimaldi), tuttavia ha deciso di disertare per evitare quella che ha chiamato una “spettacolarizzazione”. Ha continuato: “Molti colleghi sono rimasti spiazzati all’annuncio di questo collegamento”.
Tra chi non ci sarà Bianca Laura Granato, ex Cinque Stelle, Matteo Dall’Osso, ex grillino ora con i forzisti (“Sono orientato a non esserci, si dà visibilità solo a una parte. Anche Vladimir Putin in Aula? Chi lo chiede fa bene!”, ha detto). Molti altri sarebbero inoltre indecisi, soprattutto tra Lega e grillini.
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Diserteranno Emanuele Dessì, ex M5s, ora nei comunisti, e Gianluigi Paragone, che però non vuole entrambi i leader coinvolti nella guerra, ma nessuno dei due. Incerto Vito Comencini della Lega, che però non ha fatto mistero di considerarsi vicino alle posizioni di Mosca (addirittura vorrebbe partire per il Donbass).
Si spiega meglio, quindi, quanto è successo all’Arco della Pace di Milano, durante la manifestazione per l’Ucraina. Quando il sindaco Beppe Sala ha detto che «gli ucraini sono nostri fratelli» e anche che «i russi sono nostri fratelli», qualcuno tra i diecimila presenti, qualcuno della comunità ucraina, lo ha interrotto con uno squillante «i russi non sono nostri fratelli».
La storia ucraina del resto è una lunga storia di lotta impari contro la politica coloniale russa, dal Settecento all’invasione del 2014 e di questi giorni, passando per lo sterminio per fame (cinque milioni di morti) noto con il nome di Holodomor e deciso a tavolino da Stalin. Non è che ci si possa stupire oggi del forte spirito nazionalista e indipendentista degli ucraini e della loro necessità vitale di affrancarsi dall’oppressore, di avvicinarsi all’Europa e di sentirsi più sicuri sotto l’ombrello protettivo della Nato, cosa, come è noto, non possibile.
Nel 1991, tre settimane prima della dichiarazione d’indipendenza ucraina dall’Unione sovietica che avviò la smobilitazione finale dell’impero comunista, George Bush senior al Soviet supremo di Kiev fece un discorso realista, patetico e disonorevole passato alla storia con il nome ingiurioso di ”Chicken Kiev speech” che gli affibbiò William Safire sul New York Times. In quel discorso, l’allora presidente degli Stati Uniti disse che gli americani non avrebbero mai sostenuto coloro che cercavano l’indipendenza «per sostituire una dittatura lontana», quella di Mosca, «con un nazionalismo suicida centrato sull’odio etnico». In quell’occasione Bush si fece messaggero degli interessi del Cremlino e del leader sovietico Gorbaciov che brigava per non far crollare l’Unione sovietica sotto i tellurici movimenti di libertà dei suoi ex sudditi. Secondo gli ucraini di allora, il presidente americano si mostrò più filosovietico degli stessi leader comunisti ucraini.
Insomma, gli americani di Bush senior, in nome della Realpolitik, nel 1991 cercarono di scongiurare la fine dell’impero sovietico e di frenare l’indipendentismo ucraino. Questo per dire quanto siano fallaci le argomentazioni di Putin sull’interferenza americana e occidentale in quell’area di confine e quanto in realtà noi europei dobbiamo agli ucraini. Il loro coraggio antitotalitario si è visto allora, nel 2014 a Maidan e in questi giorni sotto assedio.
La speranza adesso è che prima o poi i russi riusciranno a ribellarsi al loro tiranno e al loro tragico destino, altrimenti sarà improbabile evitare ulteriori catastrofi umanitarie. Ma finché sulla carneficina in Ucraina non ci sarà una mobilitazione all’altezza di questo nome a Mosca e non solo a Mosca, nelle città e nelle campagne, oltre che negli apparati di sicurezza e tra i capibastone dell’azienda Cremlino spa, è comprensibile perché gli ucraini non considerino i russi come fratelli ed è normale che li reputino volenterosi carnefici di Putin, alla pari dei tedeschi comuni raccontati da Daniel J. Goldhagen nel suo famoso saggio sugli anni di Hitler.
Le sanzioni economiche che stanno piegando economicamente la Russia servono soprattutto a questo, a indicare ai russi comuni l’uscita di sicurezza per scongiurare lo sterminio degli ucraini programmato dal Cremlino e dimenticare per sempre l’incubo di un ritorno al passato.
Where is the outrage?, dov’è la collera dei russi sui crimini commessi dai connazionali in Ucraina e prima ancora in Bielorussia, in Siria, in Georgia, in Cecenia e anche in Russia? Non c’è.
Lo scoppio della guerra in Ucraina ha portato all’apertura di un’indagine per crimini di guerra. Andiamo a vedere nei dettagli cosa rischia Vladimir Putin in caso di una condanna che, come abbiamo detto in altre occasioni, sembra essere molto complicata per diversi motivi.
Ma molti Stati non hanno nessuna intenzione di fare passi indietro e vedremo cosa succederà nei prossimi giorni nei confronti di Vladimir Putin e della Russia.
Difficile dire al momento quali sono i rischi per il presidente russo. Naturalmente una condanna potrebbe portare il Putin a dover scontare una pena all’ergastolo, ma si tratta di un’ipotesi molto remota visto che non sarà per nulla facile riuscire a portare il leader del Cremlino in Tribunale.
Si tratta, comunque, di una possibilità che è sul tavolo i Bruxelles e vedremo cosa succederà nei prossimi giorni. Sicuramente la guerra in Ucraina non si fermerà al ritiro delle truppe e siamo certi che ben presto su questo conflitto ci potrebbero essere delle importanti novità.
Il crimine di guerra è un attacco indiscriminato che viola il diritto internazionale umanitario. Naturalmente da parte della Russia l’accusa è stata respinta e vedremo se nei prossimi giorni presenterà qualche suo avvocato all’udienza oppure si continuerà sulla strada intrapresa in questi ultimi periodo.
Si tratta di una guerra che, come detto, nasconde ancora tante cose e capiremo solamente nei prossimi giorni quale sarà il destino di Vladimir Putin e della Russia in questa guerra che continua ad avere molte incertezze e pochi punti chiari.