Politica

Elezioni 2022: Meloni punta su Tim e affonda CdP. Il corsivo di Bisignani

Elezioni 2022, non solo colleggi sicuri o pseudo tali. In gioco ci sono soprattutto nomine e giochi di potere ai più sconosciuti. Luigi Bisignani, in un corsivo pubblicato sul quotidiano Il Tempo, fa capire cosa si cela dietro e ‘sotto’, il voto del 25 settembre.

Caro direttore, il «cambiamento climatico» in Italia è più sentito che mai ora che l’avanzata di Meloni, Crosetto e il ritorno di Tremonti stanno surriscaldando i Palazzi del potere economico. L’aria calda che sale fornirà l’abbrivio per mettere mano a strategiche razionalizzazioni che “il governo dei migliori”, di Draghi e Giavazzi, non ha voluto neppure impostare, troppo impegnato a sistemare gli amici degli amici del Pd e della Bocconi. Razionalizzazioni che riguarderanno l’integrazione di Leonardo con Fincantieri – come auspicava Giuseppe Bono- di Snam con Terna, fino alla ridicola sitcom sulla rete unica interpretata da Cdp, Open Fiber, Tim e Vivendi. Tra coloro che non mangeranno il panettone, la pole position se la contendono il Dg del Tesoro Alessandro Rivera, l’Ad di Leonardo Alessandro Profumo e il numero uno di Cdp Dario Scannapieco. Se l’ombroso Rivera (sponsor Conte e Pd) si è distinto per aver lasciato il suo imprimatur sul caos di Mps e Popolare di Bari, Scannapieco sembra invece aver fatto di tutto per intestarsi lo stallo sulla rete unica. Egli stesso ne è talmente consapevole che ha iniziato a pensare di succedere al tedesco Werner Hoyer, attuale presidente Bei, in uscita forse anticipata per ragioni di salute. Tuttavia sarà difficile per il capo di Cdp tornare sul luogo del delitto dove venne spedito da Tremonti, ai tempi del Mef, per incompatibilità ambientale con Vittorio Grilli anche perché il posto sarebbe stato già promesso ad uno spagnolo. Il suo esordio alla Bei ebbe del tragicomico: dopo aver parlato con l’allora governatore di Bankitalia Draghi, varò un’operazione importante garantendo il supporto italiano. Peccato che la nostra delegazione votò contro, togliendogli ogni credibilità. Il gran rientro del Draghi boy a Roma ha coinciso con una “pulizia etnica” di manager sostituiti in posizioni chiave solo da suoi fedelissimi, come “l’esperto” fisioterapista Fabio Barchiesi, nominato capo dello staff o il comunicatore Marco Santarelli, tutto teso a fare la guerra ai manager di Banca Intesa. Stessa sorte riservata anche ad altri dirigenti di valore allontanati dalle stanze dei bottoni di Cdp, quali Daria Ciriaci, apprezzatissima responsabile degli affari europei o prime linee, come Paolo Calcagnini, Pierfrancesco Ragni fino a Pierpaolo Di Stefano, quest’ultimo forse perché tra i pochi ad avere delle idee chiare sulla rete unica. Così come Stefano Siragusa messo in freezer in TIM dall’Ad Pietro Labriola nonostante i brillanti risultati ottenuti, così come altri capi area di Open Fiber (Sannino, Paggi e Bonnanini) epurati senza complimenti, con il placet della Cassa, dal tentennante Ad Mario Rossetti. Labriola, sempre più sotto assedio non solo dai mercati, è rimasto solo nella tempesta assieme al suo cerchio magico carioca, stretto tra Cdp e i francesi di Vivendi, i quali non accetteranno nulla sotto i 30 miliardi di euro, a maggior ragione ora che Telefonica ha venduto il 50% della sua rete in fibra con un multiplo di oltre 27 volte l’Ebitda.

A questo punto, il centrodestra governante in pectore non ritiene opportuno che Cdp faccia proprio adesso un’offerta su Tim. Ma la logica del piano della patriota Giorgia è senz’altro coerente: non si possono lasciare infrastrutture strategiche in mano ai privati, soprattutto se stranieri, anche se è convinta di riuscire ad instaurare un rapporto franco e leale, a differenza di Conte e Draghi, con i francesi di Vivendi, conscia com’è della forte relazione dei due “capitaines” parigini, Bolloré e de Puyfontaine, con gli ambienti della destra francese e degli euro burocrati di Bruxelles.

In questo contesto appare evidente come sia certamente più appropriato immaginare un’Opa su tutta Tim da parte di Cdp, che così acquisterebbe la rete a prezzi molto più convenienti, per poi fonderla con Open Fiber e, successivamente, vendere sul mercato gli altri asset dell’ex monopolista delle Tlc. Lo scontro poi, è sul ruolo di Open Fiber, dove, l’Ad di Tim Labriola, pone il tema dal punto di vista finanziario: dal momento che Cdp deve risolvere il problema di Open Fiber, ci sarà maggiore propensione a pagare cifre fuori mercato. Al contrario, per Di Stefano e Siragusa, il tema avrebbe dovuto essere affrontato dal punto di vista industriale, con Tim fulcro dell’intera operazione. La costola sudamericana Tim Brasil viene considerata da Labriola un asset strategico, al contrario di Siragusa, Fratelli d’Italia e anche Lega che lo valutano invece sacrificabile per finanziare lo sviluppo della rete, dei piani del Pnrr in Italia e il rafforzamento della rete nel mediterraneo, del PSN (Polo Strategico Nazionale) e del Cloud. Contrasti legittimi che un capo autorevole di Cdp avrebbe dovuto dirimere, interloquendo con Vivendi; invece l’altezzoso Scannapieco, a differenza del suo predecessore Fabrizio Palermo, li ha sempre guardati dall’alto in basso. Una arrogance che ricorda quella di Alessandro Profumo, il quale, dopo la disastrosa “cura” del ferroviere Mauro Moretti, ha fatto precipitare Leonardo, con addirittura richieste di danni da parte del governo norvegese per una partita di elicotteri «non affidabili». Se, come sembra, la Meloni vincerà le elezioni, tutto dipenderà da chi chiamerà a raccolta. Se riuscirà a circondarsi e coinvolgere nel suo esecutivo uomini e donne di esperienza o se, una volta a Palazzo Chigi, volerà basso come i gabbiani anziché svettare come un’aquila. Sempreché gli alleati, Berlusconi e Salvini, non si diano al bracconaggio e comincino ad impallinarla da subito, magari suggestionati dall’idea di un Draghi-bis con la complicità pelosa del duo Renzi-Calenda e della tigre spelacchiata di Letta.