Il potere degli invisibili che contano nel Palazzo. Dalle colonne del Tempo i retroscena di Luigi Bisignani
Caro direttore, non solo l’essenziale, ma anche il potere spesso è invisibile agli occhi. Nei ‘palazzi’ che contano esiste un potere visibile e decisionale e un altro potere, invisibile, ma ancor più potente che influenza e condiziona i comportamenti dei presidenti. È una delle visioni suggestive evocate dal professor Sabino Cassese, il più camaleontico maître à penser della Repubblica, nell’intrigante e lucidissima intervista concessa ad Alessandra Sardoni nel libro “Le strutture del potere”, edito da Laterza. In questi anni, nelle stanze che contano, di potere invisibile se ne è visto parecchio determinando la fortuna o la sfortuna degli ultimi capi di governo. Tra i sottosegretari decisori seduti a fianco dei premier in Consiglio dei ministri si sono succeduti personalità come Giuliano Amato, Lamberto Cardia, Antonio Maccanico, Antonio Catricalà, fino a Gianni Letta, insuperabile, nel ventennio berlusconiano. Analogamente, anche Meloni, Draghi e Conte hanno potuto contare su sottosegretari di grandi capacità: Alfredo Mantovano, raffinato giurista cattolico condito con un forte senso dell’humor, oggi al fianco di Giorgia; Roberto Garofoli, il quale appartiene ad un genere in via d’estinzione, il tecnico con visione politica e di sistema, scelto da Mario Draghi e, per finire, benché poco ricordato, Riccardo Fraccaro nel Conte-due, che mise in piedi uno staff di altissimo livello. Un trio di fedelissimi con un potere molto visibile e formalizzato che, tuttavia, ciascuno a modo suo, ha dovuto fare i conti con altri “invisibili” potenti nel cuore dei rispettivi leader. Pasdaran che creano il più delle volte contrasti e dissapori, intervenendo a gamba tesa in discussioni già avviate e approfondite tra ministri e uffici di gabinetto. La consuetudine e la confidenza nei rapporti personali con i rispettivi premier pare dia loro licenza di partorire idee spesso strampalate su tematiche istituzionali e su dossier di competenza specifica dei singoli ministri. Il risultato è quello di intralciare l’iter dei provvedimenti senza avere la minima responsabilità perché alla fine non sono mai loro a “firmare” gli atti. Come dice Cassese, «Chigi non è più un palazzo, ma una città con un potere interno andato continuamente aumentando».
I nomi degli invisibili dell’era Meloni sono sulla bocca di tutti i gabinettisti dei ministeri: Giovanbattista Fazzolari, detto “Spugna” ai tempi in cui si occupava degli universitari di destra ed assurto ora con la poltrona di sottosegretario di Stato con delega all’attuazione del programma – al più nobile “Fazzo”. Francesco Giavazzi, un professorale beneficato da Draghi-Mida, e infine il più mediatico di tutti Rocco Casalino, l’unico con il semaforo in azione per accedere all’ufficio di “Giuseppi”, sempre più convinto di tornare a Chigi, magari proprio con una manovra di Palazzo. Il primo, Fazzolari, ormai anche ministro de facto della propaganda meloniana, non ha sfumature. Il Fazzo-pensiero si riassume in una rivisitazione della frase del Vangelo di Luca «chi non è con me è contro di me» e, come tale, con tanti nemici da combattere. È forse la persona che ha la maggior responsabilità nell’aver quasi “incupito” la premier nelle faccende italiane mentre all’estero Giorgia, libera da fisime e defazzolarizzata, vola alto ottenendo grandi risultati, come nell’ultimo vertice europeo. Fazzo, con il fedele Filini, interviene d’imperio sulle nomine che vengono recapitate direttamente nell’ufficio di Mantovano. L’ultima infatuazione è per la riconferma di Dario Scannapieco in Cdp, che dirotta i risparmi postali verso qualsiasi iniziativa sollecitata dal premier: dai trattati internazionali, a Tim, passando per i Benetton. Per evitare di utilizzare i soldi di Cdp, Mussolini, già a quei tempi, fondò l’Iri con il benestare di Raffaele Mattioli, allora capo della Comit e convinto antifascista: fu lui a suggerire al Duce di non utilizzare la Cdp per la politica industriale italiana e Mussolini seguì il prezioso consiglio. Insomma, un bancomat a Chigi, più che una cassa dello Stato.
Giavazzi, con Draghi a Palazzo, ha vissuto l’avventura di una sorta di Mazzarino de noantri, trasformando le sue giornate in una festa. Anche lui, come Fazzolari, ha contribuito a “rinchiudere” SuperMario in una stanza, convincendolo che, non parlando con i partiti e “umiliando” di fatto il Parlamento, sarebbe andato al Quirinale senza passare dal via, anche sulla scorta della promessa di Mattarella. Si sa com’è finita, con, per di più, una pletora di bocconiani piazzati in posti di potere, la cui inesperienza operativa sta facendo danni epocali. Last but non least, il grande fratello Rocco Casalino, responsabile della rottura tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Il più eccentrico di tutti avrebbe dovuto indossare il mantello dell’invisibilità 24 ore al giorno, è diventato invece il più egotico, con la Rai piegata ai suoi capricci. Era lui il vero dominus per Conte, ma senza una direzione politica i dossier Autostrade, Ilva, Ita furono presto lasciati alla mercé delle lobbies e di un Patuanelli – oggi ricordato solo per la frase «Conte è un leader naturale» – il quale probabilmente non ha mai capito quale fosse la vera posta in gioco. Il povero sottosegretario Riccardo Fraccaro, con uno staff economico stellare e consulenti interni ed esterni, preparava analisi, dossier e soluzioni che giacevano sul tavolo iperdisordinato di Conte, che però il factotum Casalino poi non rassettava. Non resta che sperare che la stella di Giorgia non venga messa KO da un colpo di Spugna di passaggio. Sarebbe un peccato per un peso massimo come lei che sta incantando il mondo.