Gen Z: ricostruire la scuola, e non solo
Secondo dati recenti dell’Unicef, ben 3 ragazzi su quattro si definisce “stressato” per la competizione che si genera negli ambienti scolastici; il 44% di loro si sente inadeguato ed il 17% è ostacolato nell’apprendimento a causa delle dinamiche appena descritte.
È la prima generazione, dopo quella del ’68, che mette in discussione un sistema apparentemente eccellente, ma costruito solo per pochi. Nel 2024, però, la rivoluzione e la speranza lasciano il posto a fatti di cronaca e dati agghiaccianti che, nel modo più tragico ed inequivocabile possibile, confermano tutto: ogni anno, 200 ragazzi commettono suicidio (con bullismo e stress accademico come cause principali del loro gesto). Un sistema che colpisce tutti, una fragilità diffusa che sembra impedire la sana ricostruzione della società scolastica, in favore di chi la vive per la maggior parte del suo tempo.
Cos’è cambiato, quindi, rispetto alle generazioni precedenti? Cosa ha reso scuole ed università così invivibili? E soprattutto: cosa impedisce agli studenti di distruggere tutte le fondamenta marce e di ricostruirle da capo, così come hanno fatto i loro genitori ed i loro nonni?
La risposta è tanto complicata ed articolata quanto il malessere psicofisico che colpisce la giovane Generazione Z. Intanto, abbiamo la necessità di tornare al 2020, guardare all’anno che ha segnato per sempre un prima e un dopo il Covid 19: in quel periodo, i ricoveri per depressione negli ospedali e nelle cliniche specializzate italiane sono aumentati anche del 40%. Un minorenne su quattro era affetto da ansia e depressione. Tra il 2020 ed il 2022, i ricoveri per anoressia e bulimia sono triplicati. E il mondo non sembrava dare molte ragioni per continuare a combattere.
D’altro canto, questi numeri fanno ancora fatica a scendere e neanche il mondo di quattro anni dopo può fornire nuove ragioni per cambiare le cose: manganelli e punti di sutura in testa non si possono considerare tali. E nemmeno il ministro dell’Interno Piantedosi, che considera gli studenti di Pisa e Firenze (ma possiamo ampliarlo all’intera generazione) un grande fallimento educativo e difende le sue forze dell’ordine, nonostante la carica a dei minorenni. Né, tantomeno, il ministro dell’Istruzione Valditara, che dichiara di voler bocciare tutti gli studenti coinvolti nelle occupazioni scolastiche, da sempre valido strumento di protesta.
Resta da tenere in considerazione un ultimo aspetto, che non è mai cambiato nel corso della storia e contribuisce a rendere l’ambiente accademico invivibile, almeno per metà della popolazione. Dopo la manifestazione “Mee Too” di Torino, sono arrivate moltissime segnalazioni di molestia dalle studentesse dell’Università La Sapienza di Roma, ma ci si aspetta che le segnalazioni, rigorosamente anonime per non rischiare di compromettere la carriera accademica, siano molte di più.
Costretti a scegliere tra ciò che ritengono giusto e il loro futuro, tra quello che gli altri si aspettano da loro e quello che vorrebbero per loro stessi, i ragazzi imparano presto a fare gli equilibristi, fin quando il filo non si spezza. E succede a 200 di loro, ogni anno. Alla luce dei dati Unicef, la Commissione Europea ha deciso di finanziare un programma di affiancamento alle istituzioni italiane per migliorare il nostro sistema scolastico.
di Alice Franceschi