Covid: infermieri, 6.459 sanitari contagiati in 3 giorni
“I dati dell’Istituto Superiore Sanità sono inconfutabili, adesso fanno davvero paura: siamo passati da 13.720 operatori sanitari contagiati ogni 30 giorni il 4 gennaio scorso, allo spropositato numero di 20.179 dopo soli 3 giorni, oggi 7 gennaio 2022. Praticamente 6459 operatori sanitari in più sono stati infettati in sole 72 ore, e quindi ben 5296 infermier. Che cosa sta accadendo?”. Così esordisce un preoccupato e indignato Antonio De Palma, presidente nazionale del Nursing Up.
“Perché gli operatori sanitari si contagiano alla velocità della luce – domanda De Palma -, e con un ritmo decisamente diverso e nettamente superiore rispetto a quello con cui si infettano gli altri cittadini? Colpa solo della virulenza della nuova variante? Proviamo a riflettere concretamente sulle reali condizioni di sicurezza che i datori di lavoro dovrebbero garantire, più che mai in questo delicato frangente, ai nostri infermieri, ingabbiati tra turni massacranti anche di 12 ore, laddove le condizioni fisiche, lo stress e la stanchezza impattano senza alcun dubbio sulle difese immunitarie dei nostri professionisti della salute, esponendoli come “marionette inermi” al rischio contagio”. Il quadro che emerge dalla nuova inchiesta targata Nursing Up, “attraverso nostri referenti regionali, è davvero desolante – spiega De Palma -, perché si registra di fondo la mancanza di un piano sinergico di coordinamento da parte del ministero della Salute e tutto è affidato ancora una volta alla molto discutibile discrezionalità delle aziende sanitarie. Abbiamo dato corso a nuove indagini interne, Regione per Regione, per comprendere cosa accade all’interno dei nostri ospedali. I primi responsi, attraverso le testimonianze dirette dei nostri colleghi, dei soldati in prima linea impegnati nella nuova battaglia contro la quarta ondata, è a dir poco preoccupante. Tamponi molecolari effettuati addirittura con una cadenza mensile nella maggior parte delle strutture e spesso solo nel caso di sintomi conclamati o di precedenti tamponi antigenici positivi. La triste routine sarebbe infatti quella dei tamponi rapidi, ad una distanza, nella migliore delle ipotesi, di 8-10 giorni gli uni dagli altri. Una forbice di tempo lunghissima se si immagina che, nel caso in cui l’infermiere risultasse positivo ad uno di questi test, effettuerebbe subito un molecolare, ma in molte strutture continuerebbe a lavorare per almeno altre 48 ore in attesa del risultato di quest’ultimo, rischiando di infettare colleghi, pazienti e familiari. Queste sono le ipotesi meno nefaste”.
“Registriamo preoccupanti situazioni come quelle del Piemonte e del Trentino – avverte De Palma -, dove i tamponi vengono effettuati senza una precisa cadenza di tempo, talvolta solo se sono gli infermieri a chiederli, oppure se esistono sintomi che richiamano ad una possibile infezione. Senza dimenticare che il tampone rapido, è scientificamente dimostrato, rispetto ad Omicron ha alte possibilità di fornire risultati erronei. E cosa accade, allora, se un un infermiere sottoposto a tre somministrazioni dovesse risultare inconsapevolmente contagiato ma asintomatico, negativo, per errore, al tampone rapido (e quindi non sottoposto a quello di conferma molecolare), continuasse a lavorare per giorni e giorni? Non dimentichiamo le condizioni in cui in questo momento versano i nostri operatori sanitari. Non dimentichiamo che ci sono colleghi costretti ad alternarsi tra due reparti diversi, alle prese con lo stress fisico e psicologico di ore e ore di lavoro. Peraltro non bisogna che passi in sordina l’evidenza di quei tanti infermieri, uomini e donne, che potrebbero già essere alle prese con patologie pregresse che di partenza ne minano le difese rispetto a un nemico violento e implacabile”, conclude il presidente nazionale del Nursing Up.