Manager in fila da Meloni per la conferma del posto. Il punto di Bisignani
A due settimane dal voto che celebrerà, sicuramente, la vittoria del centrodestra è di Giorgia Meloni i grandi maneger delle spa italiane sperano in una riconferma ed ora vogliono salire sul carro guidato dalla leader di Fli. É quanto scrive Luigi Bisignani in un corsivo pubblicato sul quotidiano Il Tempo.
Caro direttore, con la brutta stagione alle porte, siamo davvero alla canna del gas. Non è necessario essere dei novelli Barbero per capire che, fin dal principio, la strategia di Putin era impantanare l’Europa in una campagna d’inverno. Diversamente, a Mario Draghi, ai soloni che guidano l’Europa-litigando tra loro -e ai servizi di sicurezza di mezzo mondo, sarebbe bastato conoscere gli scritti di Vladimir Putin per sapere come sarebbe andata a finire. Bisogna infatti tornare al 1996, quando, all’Università Mineraria di San Pietroburgo, un Putin in rampa di lancio discuteva la tesi del corso triennale per il suo PhD, completato in un solo anno e intitolata «Mineral raw materials in the strategy for development of Russian economy». In tale dissertazione, che in seguito sollevò anche dubbi di autenticità, auspicava un sistema misto, pianificato dal potere politico, in cui Stato e corporazioni finanziarie e industriali russe avrebbero dovuto dare vita a colossi nazionali in grado di competere con le big corporations straniere. Il tutto con un preciso testuale obiettivo: «servire gli interessi geopolitici e mantenere la sicurezza nazionale della Russia». È proprio per questo infatti che, una volta raggiunto il potere, il presidente russo ha voluto riportare a tutti i costi Gazprom sotto il controllo dello Stato. È proprio in Gazprom che Putin conobbe il suo pupillo Dmitrij Medvedev, il quale aveva l’ufficio personale nella sede moscovita della società in Ulitsa Nametkina al civico 16. O, all’Europa sarebbe bastato, più semplicemente, prendere sul serio almeno per una volta Donald Trump, quando ammoniva la Germania della Merkel e l’Italia di «Giuseppi» Conte sui rischi della dipendenza dal gas russo. E pare che proprio la tesi del futuro zar fosse tra i documenti portati via dalla Casa Bianca e che sono stati rinvenuti nel corso del maxi blitz a opera dell’FBI nella residenza di Mar-a-Lago. Davanti all’isteria deileader europei Giorgia Meloni sta invece pragmaticamente pensando che, per salvare famiglie e imprese, occorra una forte iniziativa comune per recuperare le risorse dai Paesi e dalle imprese che stanno guadagnando a mani basse dall’aumento del prezzo del gas, redistribuendole efficacemente a chine ha davvero bisogno. Servono pertanto iniziative di carattere strutturale, anche perché eventuali scostamenti di bilancio possono essere fatti solo entro certi limiti e in determinati periodi di tempo. Se la crisi energetica dovesse durare 5 anni, per dirla alla Lenin, che fare? Sono almeno due gli obiettivi prioritari da perseguire: difendere la competitività delle aziende Italiane e preservare la stabilità sociale. Per questo bisogna sin da subito mettere nei posti strategici persone capaci che però, come dice Guido Crosetto, non abbiano già troppi padrini che cercano di riciclarli. Un paio di esempi eclatanti. Il primo è Dario Scannapieco, Ad di Cdp che ha paralizzato la Cassa collezionando flop, da Trevi (perdita di Cdp di almeno 110 milioni di euro rispetto all’investimento di 140 milioni) ad Ansaldo (continui aumenti di capitale in una società che ha un miliardo di euro di passivo), fino a Saipem (almeno 700 milioni di euro di perdite rispetto all’investimento, oltre all’aumento di capitale). Poi c’è il disastro sulla rete unica, che sta distruggendo valore per Open Fiber e Tim, sempre a firma Scannapieco il quale, dopo essere rimasto inchiavardato per mesi nella sua poltrona di via Goito, ora non risponde più nemmeno alle telefonate dei ministri di Draghi forse troppo occupato a girare per gli uffici di Roma «in odore di Fratelli d’Italia». Il secondo esempio è il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, sponsorizzato prima da Grillo e ora da Claudio Descalzi, il quale al suo probabile quarto rinnovo ha ovviamente tutto l’interesse ad averlo come super ministro dell’Energia per rendergli ancora più agevoli le scorribande in Africa. Alla Meloni bisognerebbe ricordare che Cingolani non ha rimosso neanche uno dei burocrati voluti dai Cinque Stelle e che molti dei provvedimenti che ha portato avanti sono stati poi sonoramente bocciati dal Tar oppure si sono salvati in corner solo grazie all’attivismo e alla preparazione della viceministra leghista Vannia Gava. Quanto a Descalzi, evidentemente la leader di Fratelli d’Italia non ha ascoltato a sufficienza gli imprenditori a cui Eni ha tagliato i contratti di fornitura di gas per l’anno termico che inizia a ottobre. I miliardi di metri cubi promessi dal duo Cingolani/Descalzi sono solo sulle slides espunte dal «piano gas», ma nessuno li ha visti. Se ne accorgerà presto Snam, guidata da tal Stefano Venier, un carneade nel mondo del gas, che ogni giorno dovrà comprare disperatamente metri cubi di gas sul mercato per non mandare la rete in default. Non confermare Marco Alverà, da parte della coppia che scoppia, Draghi-Giavazzi, un errore da matita blu. Un disastro annunciato, coperto dalla propaganda che la butta tutta su presunti speculatori contro cui, però, il ministro dell’Energia non ha fatto nulla. Quest’ anno l’inverno arriverà fuori stagione, sarà shakespearianamente «l’inverno del nostro scontento» e non basterà il fiato del bue e dell’asinello per scaldare le case degli italiani e la nostra industria come ripeterà con forza domani in Vaticano davanti a Papà Bergoglio il Presidente Carlo Bonomi.